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vendredi 28 mai 2010

Intervista: un Bravo alla Bao.

Auteur : Davide Occhicone
Interview réalisée lors de sa visite en Italie du 16 au 20 mai 2010.  
 
Il tour italiano di Émile Bravo giunge al termine nella fumetteria Alastor di Napoli, dove abbiamo incontrato l'autore. Le tappe sono state la Fiera del Libro di Torino, un entusiasmante briefing a Milano e incontri a Bologna e Roma.
Il giro, ci racconta Michele Foschini, non è stato casuale; "l'Alastor è stata l'unica fumetteria e questo perché la Bao sta cercando visibilità anche in libreria. A Milano, alla Rizzoli, si sono stupiti per la grande disponibilità di Émile; a Bologna Bravo ha tenuto una vera conferenza in una libreria "per l'infanzia" (un incontro in un qualche modo accademico). Ogni volta abbiamo trovato persone che non si aspettavano di trovare quello che poi hanno trovato. Ed è questo quello a cui puntiamo: allargare il raggio delle persone interessate al fumetto. Magari ai nostri, che è meglio.
Il giro è stato molto interessante, e sono felice di averlo fatto con un autore di un fumetto che, non nego, mi commuove sempre ad ogni rilettura.
Qui, in fumetteria, saldiamo in minima parte il debito che abbiamo nei confronti dei grandi appassionati e lettori di fumetti. Anche nei confronti dei nerd. Sai, nei film di fantascienza si vedono questi esseri umanoidi con la testa enorme e le braccine piccole perché hanno solo cervello. Io credo che invece stiamo tutti diventando personaggi con il cerotto sugli occhiali e la maglietta di Star Trek; dei nerd, appunto. Noi che eravamo già così da molto tempo, a quel punto, domineremo il mondo…
"

Il tuo disegno a prima vista rimanda a una precisa scuola fumettistica che genericamente viene chiamata Ligne Claire e più in generale ogni volta che si parla del tuo lavoro si fa questo riferimento. Quanto c'è di esatto in questa definizione? Ti ritrovi?
Mi riconosco nella definizione di Hergè della "linea chiara" non in quella semplicemente estetica e grafica. Lui intendeva che la linea doveva essere chiara nel senso che doveva consentire la comprensione del racconto; il segno era inteso come linguaggio. Da questo punto di vista il senso del disegno scarno, puro, pulito che serve a raccontare una storia… beh, in questo mi ci riconosco, nella definizione del solo "tipo" di disegno no.
Da questo punto di vista spesso sorprendo chi mi sente dire che trovo che Art Spiegelman in Maus faccia della "linea chiara", ovvero intendo che il disegno è perfettamente al servizio della storia, questo vuol dire "linea chiara" per me. Anche se il grafismo è sporco, quasi carboncino; dal mio punto di vista, essendo al servizio della storia e quindi racconta con un "tratto" chiaro quello che l'autore voleva raccontare.

Nel caso di Spiegelman questo avviene anche perché parliamo di un autore completo. Che condizioni ci devono essere per far sì che accada anche laddove c'è uno sceneggiatore ed un disegnatore?
Credo che la fusione fra un disegnatore ed uno sceneggiatore abbia del miracoloso; infatti molte volte si vede chiaramente che non funziona come dovrebbe. Penso che Uderzo sia un grande disegnatore, per fare un esempio, però è sempre stato Goscinny a sapere come tirare fuori da Uderzo il meglio. Quando viene a mancare uno dei due autori viene a mancare la simbiosi che si era creata.
Se consideri l'autore di un fumetto (anche se sono in due) come se fosse una sola persona la mancanza dello sceneggiatore si può paragonare alla perdita di un arto, di questa "fantomatica" persona unica…
Molto spesso ci sono dei disegnatori che aggiungono dettagli, virtuosismi che non servono a raccontare qualcosa in più; sono un contributo eccessivo. Così come ci sono sceneggiatori che non si rendono conto che a spiegare le sfumature serve il disegno e quindi aggiungono dei livelli ulteriori di lettura nel testo che non servono per cui in realtà ciascuno sta cercando di mettere in mostra il suo talento.

Cogliamo però una voglia di andare oltre, se non altro ci sembra che la tua sia perlomeno una modernizzazione del modo canonico di disegnare dentro la linea chiara. Un po' come fece prima di te Joann Swarte, per esempio.
Mah, trovo il lavoro di Swarte molto bello esteticamente ma anche come ricerca del modo di lavorare ma si tratta di un qualcosa di puramente estetico. Non è un caso che parliamo di un modernizzatore del concetto di linea chiara. Non è che non mi piaccia, ma diciamo che non mi interessa particolarmente, ciò che mi interessa è più considerare l'estetica come parte del fumetto, non come fine.

Del resto, se parliamo di tematiche, dato che sei spesso scrittore delle tue storie, non ci sembra che tu sia così inchiodato sul classicismo. In Italia abbiamo visto poco dei tuoi fumetti, ma Young American in questo senso è folgorante. In superficie c'è un disegno pulito, innocuo, tradizionale, quasi umoristico, ma poi la storia è un abile gioco di ribaltamenti con una dicotomia evidente tra il testo, feroce e pungente, e il disegno. È solo un divertissement oppure è un episodio importante nella tua carriera?
È stato un divertissement, sicuramente. Però è stata anche una cosa molto importante secondo me. Volevo dimostrare il fatto che non si deve dare eccessiva importanza al disegno; la storia mostrava due volte le stesse tavole ma con testi differenti. La prima volta è didascalica, pesante…. la seconda volta è assolutamente pornografica e politicamente scorretta ma i disegni sono gli stessi. Guardando semplicemente ciò che c'è disegnato non è detto che si capisca cosa racconta la storia; il virtuosismo non era tanto nell'aspetto grafico ma nella capacità di illustrare nello stesso modo due storie molto diverse.

 
Si vous souhaitez lire la suite de cette interview, rendez-vous sur le site Lo spazio Bianco

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